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L’auto ti osserva: scorda la privacy

Fa discutere il tema della tutela della privacy, messa a rischio anche dalla propria auto. Con l’avvento della tecnologia autonoma, sarà sempre più possibile che i nostri dati siano “memorizzati” dalle vetture.

Quasi un’evoluzione di quel Grande Fratello, di cui parlava Orwell nel suo libro nel 1984. Anche se alcuni storcono il naso al pensiero, dovremmo tutti fare i conti con il fatto che la nostra auto in qualche modo ci “osservi”. Lo sviluppo della guida autonoma farà il resto: tutto sarà controllato da chip e sensori. Scordiamoci la privacy.

Le questioni spinose a cui dare risposta è chi avrà in mano i nostri dati, che uso potrà farne e quali tutele sono previste per la loro privacy. Negli Stati Uniti manca una legge federale in materia. Per inciso, il senatore repubblicano Roger Wicker del Mississippi, ha affermato che vorrebbe vedere la normativa sulla privacy approvata entro la fine dell’anno. Non è chiaro se tale obiettivo possa essere realisticamente raggiunto.

Rimanendo in ambito continentale, viene in mente il Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR), entrato in vigore il 25 maggio 2018.

L’Unione europea ha stabilito che i dati generati dalle automobili appartengono ai rispettivi proprietari. Tuttavia permangono anche in questo caso alcune zone d’ombra che non fugano tutti i dubbi sulla salvaguardia dei dati personale.

Secondo l’articolo 62 della normativa, non è necessario imporre l’obbligo di fornire l’informazione se l’interessato dispone già dell’informazione se questa richiederesse uno sforzo sproporzionato.

Questa eventualità potrebbe verificarsi nei trattamenti eseguiti a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici.

Garantire la sicurezza degli utenti senza sfociare nell’intrusione

Il tema è quindi complesso. Va da sé che dal primo gennaio 2020 in California è in vigore il California Consumer Privacy Act, la prima legge completa negli Stati Uniti sulla protezione dei dati personali. Essa definisce come le aziende sono autorizzate a trattare le informazioni personali dei residenti in California. La definizione si estende oltre ciò che viene generato da un individuo fino a includere informazioni sulla famiglia.

Tuttavia ciò non basta a fugare tutti i dubbi, soprattutto quando ci si ritrova alla guida di un’auto o di un camion. In questi casi è probabile che il veicolo sia come un computer, che raccoglie e trasmette in modalità wireless grandi quantità di dati al produttore.

Non soltanto inerenti alle prestazioni del veicolo. Ma anche alle informazioni personali, come il peso del conducente, la musica che ascolta e i luoghi che più ama visitare. Tutto questo grazie ai moderni sistemi di infotainment. L’auto può inoltre arrivare a controllare anche il modo stesso in cui il conducente guida.

Un business che fa gola

Si pensi che, secondo alcune stime, un’automobile è in grado di generare circa 25 gigabyte di dati ogni ora e fino a 4mila gigabyte al giorno. Inoltre, secondo l’azienda di consulenza McKinsey, i dati raccolti dalle case automobilistiche potrebbero valere fino a 750 miliardi di dollari entro il 2030.

Chiaro che possano fare gola. E a queste condizioni le case automobilistiche non hanno incentivi per rilasciare il controllo dei dati raccolti dai nostri veicoli.

Le case automobilistiche tengono infatti traccia dei dati in base al numero di identificazione del veicolo (VIN). Come dichiarato dal gruppo in una lettera del 2019 al Dipartimento di Giustizia della California, «potrebbero avere scarse informazioni su chi guidava il veicolo al momento della raccolta delle informazioni».

Questo, tradotto, implica che se i produttori di auto fossero costretti a fornire ai consumatori tutte le informazioni legate a un veicolo, ciò potrebbe comportare «rischi di stalking o molestie, pericolo per la sicurezza personale o pubblica, o potrebbe altrimenti avere un impatto negativo sui diritti alla privacy dei non proprietari».

Il gruppo ha affermato anche che le case automobilistiche spesso si affidano a fornitori terzi per servizi di emergenza e di assistenza stradale. Limitare il flusso di informazioni a tali società potrebbe essere quindi dannoso per la sicurezza.

I consumatori tirano dritto

I gruppi di consumatori, le officine di assistenza post-vendita e i sostenitori della privacy, dal canto loro, insistono a chiedere che i dati appartengano ai proprietari dell’auto e che le informazioni siano assoggettate alle leggi sulla privacy dei dati.

In caso contrario, si innescherebbero anche problemi di praticità. Cosa succederebbe, ad esempio, se il meccanico in fondo alla strada, che ha assistito la tua auto per anni, non potesse ottenere tali dati dal produttore del veicolo?.

E con il 5G le cose possono complicarsi ancora di più

Tutti dovranno dunque scordarsi di avere “doppie vite” o incontri segreti. Incontrare l’amante, acquistare qualcosa di lecito ma personale è già un problema. Ancor più se lo si fa con il cellulare in tasca.

I dati raccolti dai computer di un’auto possono essere scaricati attraverso la diagnostica di bordo che si trova in genere sotto il cruscotto sul lato del conducente. Ma la maggior parte delle auto moderne ha sistemi wireless in grado di trasmettere i dati telematici al produttore. Come ha spiegato Aaron Lowe, vice presidente senior di Auto Care, «entro il 2030 tutte le auto sulla strada potrebbero essere dotate di tali sistemi di trasmissione dei dati».

Ma con l’avvento della tecnologia di quinta generazione (5G), e quindi una velocità maggiore di connessione, lo scenario potrebbe cambiare radicalmente. I conducenti che collegano i loro smartphone tramite Bluetooth alle loro auto potrebbero condividere il loro intrattenimento e le loro abitudini alimentari. Nonché l’elenco dei contatti con il produttore dell’auto o con una società di noleggio auto.

Servono standard univoci

La sorveglianza della guida sta diventando difficile da evitare. Nel 2020, la maggior parte delle auto nuove negli Stati Uniti avrà con connessioni Internet integrate, tra cui il 100% dei modelli Ford, GM e BMW e tutti tranne un modello Toyota e Volkswagen.

Chiaro allora che servano dei criteri univoci a cui si debbano adattare tutte le case automobilistiche in materia. Cinque anni fa, 20 case automobilistiche hanno aderito a standard di privacy volontari. In particolare si sono impegnate a fornire ai clienti informazioni chiare e significative sui tipi di informazioni raccolte e su come vengono utilizzate, nonché i modi per i clienti di gestire i propri dati.

Tuttavia, all’atto pratico, permangono ancora criticità. È vero probabilmente che le case vogliono avere il controllo esclusivo dei dati, dato che le minacce esistenziali del settore (le tecnologie di guida autonoma e di guida) sono basate su di esse. Ma è altrettanto vero che non aprirsi porta anche problemi.

Tra le politiche sulla privacy, la Toyota si è distinta per tracciare alcune linee chiare sulla condivisione dei dati. La casa giapponese ha detto che non condividerà “informazioni personali” con rivenditori di dati, social network o reti pubblicitarie. Ma ritaglia comunque il diritto di condividere i cosiddetti “dati del veicolo” con i partner commerciali.

Mancata trasparenza alla base

Ma chi possiede e controlla tali dati? E cosa ci fanno le case automobilistiche? Il problema della proprietà è oscuro. I conducenti di solito sottoscrivono i loro diritti sui dati in una clausola in caratteri minuscoli nel contratto di proprietà o di locazione. Non è diverso dall’acquisto di uno smartphone. La differenza è che la maggior parte dei consumatori non ha idea che i veicoli raccolgano dati.

Inoltre mentre è possibile disattivare i dati sulla posizione sul proprio cellulare, non esiste alcuna funzione di esclusione per la propria auto.

Le case automobilistiche utilizzano i dati per avvisarci quando qualcosa deve essere riparato o le nostre auto devono essere sostituite per l’assistenza. Quello che non dicono è che controllando i nostri dati, possono limitare dove effettuiamo la riparazione o l’assistenza.

Un dilemma da risolvere

La digitalizzazione dell’industria automobilistica è, in definitiva, una buona cosa. Le automobili connesse di oggi stanno aprendo la strada a veicoli autonomi e comunicazioni da veicolo a veicolo, e infine comunicazioni da veicolo a infrastruttura con l’obiettivo di rendere le strade ancora più sicure.

Ma quel che è certo è che i consumatori non sono consapevoli della misura in cui la propria auto raccoglie ed elabora i dati. Molti potrebbero non sapere che le ultime novità nella tecnologia delle auto connesse potrebbero riguardare la registrazione e la condivisione dei dati di ogni viaggio.

Se le case automobilistiche sono autorizzate a creare un monopolio dei dati, questo potrebbe limitare le scelte dei consumatori. Un problema non secondario.

Redazione MotorAge.it – Andrea Sicuro

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