MotorAge New Generation

Energie Alternative spinte da forze oscure

 Corsa contro la dipendenza dal petrolio. Contestazioni, riunioni. Siamo nell’era “green”, diventata quasi una fobia. Una questione di responsabilità, di blasone, di immagine. Ma tutto tra giochi di potere e diktat della new economy politica. Ricerche e proposte hanno avuto un’accelerazione inaspettata, Quante misure e soluzioni si sono mostrate, a volte osannate e poi ridimensionate. Perché si è creata una perenne corsa ecologica e tecnologica contro il tempo, tra consensi e polemiche.  
Energie alternative, contestazione sul clima

 Studiare e produrre veicoli “eco-compatibili” è diventato “moralmente e politicamente corretto”, ma non tutto è detto, non tutto è chiaro. Dietro, nei risvolti, si celano verità fumose, a volte scomode. Un fatto sembra assodato: con le energie alternative lievitano i costi. Se si è informati è però già facile accettarlo. 

La disponibilità di petrolio, che già è notoriamente limitata, man mano che si sfruttano i giacimenti porterà i costi di estrazione, raffinazione e vendita a crescere progressivamente.

Le guerre in atto, i pozzi volutamente chiusi, fanno ancora più paura, perché i tempi si restringono. 

Di fatto, lo sviluppo della motorizzazione così come stava procedendo, non è in alcun modo sostenibile dall’ambiente. Se ci aggiungiamo pure che in Paesi come l’India o la Cina la diffusione dell’automobile ha preso in una manciata di anni ritmi come quelli occidentali, si è alle strette. Senza un cambio di comportamento il destino del pianeta sarebbe definitivamente segnato. Non si tratta di considerazioni fatte da ambientalisti estremi o allarmisti del catastrofismo, ma di una realtà ormai universalmente accettata e condivisa. Questo anche da chi avrebbe tutto l’interesse a negarla, come l’industria automobilistica o quella petrolifera. Come se l’ordine arrivasse dalle massime altezze. Oscure o indecifrabili.

Le soluzioni che sono state proposte hanno avuto accelerazioni incredibili, con consensi ma anche dubbi.  

 IBRIDO – Passaggio ammorbidito verso il Green

 L’ibrido è in sostanza la combinazione di due o più fonti energetiche. Nel mondo delle automobili, per esempio, è un motore a combustione insieme a energia elettrica. 

Da qualche anno la spinta commerciale, e politica, verso le auto con sistemi ibridi è diventata martellante.

Già dieci anni fa Piech (trovandosi a commentare un’interviste di Wolfgang Hatz del gruppo Volkswagen) riaffermò che produrre auto ibride era dispendioso, costoso per i relativi vantaggi in consumi che si ottenevano. Allora la riduzione “reale” nei consumi si attestava in media tra il 10 e il 15%. Oggi, con le evoluzioni tecnologiche, si arriva a seconda dei modelli tra il 18 e il 35% massimo. Basterà°? Sarà sufficiente a motivare costi maggiori sia per i costruttori sia, ovviamente, per gli acquirenti? Per questi ultimi dipende certamente dalle modalità di utilizzo del veicolo, e relativa capacità di ammortizzare in un lasso di tempo. 

Di certo le pressioni delle amministrazioni, prima tra tutte quella Americana, non hanno lasciato scampo agli ingegneri. Ormai per i costruttori avere degli ibridi nella gamma è d’obbligo, indipendentemente da ogni pensiero e valutazione. Instillare dei dubbi e invitare a valutazioni è quasi da ribellione sociale in raffronto alla sfilza di “politacally correct” a cui ci siamo abituati. Il che dà la misura di quanto contino il marketing e la socio-politica in molte delle scelte tecniche affrontate dalle case. 

“Il mio sogno – disse anni or sono il presidente di Toyota Katsuaki Watanabe – è realizzare un’auto a zero emissioni e che in più le assorba mentre è in funzione. Una vettura che pulisce l’aria. Ma ci vorranno anni, quanti non lo so”. Una prospettiva intrigante, che potrebbe parzialmente compensare la continua distruzione di alberi e foreste. 

 Biocarburanti – intelligentoni o criminali ? 

Sono combustibili estratti da materie prime agricole, biomasse, e per questo considerati fonti d’energia rinnovabili. Possono però rappresentare un’opzione energetica per ridurre la dipendenza dal petrolio e l’effetto serra, non dei sostitutivi. I terreni coltivati non sarebbero in grado di soddisfare le richieste e rendere i mercati autosufficienti. 

Nulla di inedito comunque, se pensiamo che il primo motore a gasolio inventato da Rudolf Diesel nel 1893 funzionava proprio con olio di arachidi. Nel corso del ventesimo secolo al carburante d’origine vegetale venne però preferito quello d’origine fossile, prodotto dalla nascente industria petrolifera, più economico. 

Tutto ciò che è “Bio” è però diventato di moda. E anche sul piano della mobilità le grandi potenze si creano due facciate (per far arrabbiare meno persone, o accontentarne di più). Ricordiamo per esempio che già con il progetto BEST Bio for Sustainable Transport la commissione europea appoggiò un piano di sviluppo a lungo termine per i biocarburanti, imponendo ai Paesi membri di soddisfare quote crescenti della domanda di combustibili con bioetanolo o biodiesel. 

Per i sostenitori, le fonti rinnovabili oltre a ridurre l’inquinamento portano nuove opportunità imprenditoriali e lavorative, il recupero di zone rurali e il risparmio nelle importazioni. 

Per contro, la commissione dei diritti umani dell’Onu ha sollevato aspre critiche sulla industrializzazione dei biocarburanti, che ha provocato un forte aumento del prezzo del granoturco. In sostanza, un rialzo del costo del cibo che mette ulteriormente in crisi le popolazioni più povere. L’allerta è chiara: “produrre fonti di cibo per bruciarlo nei motori è un crimine contro l’umanità”. 

Due verità in contrasto. E’ altresì vero che da anni si stanno studiano fonti alternative, celluloidi, resti legnosi e detriti da cui ricavare biocombustibile. 

Per le aziende fornitrici i bio (nelle quantità contenute ottenibili) sono diventati tuttavia un sistema per accontentare alla pompa clienti premium, con auto premium. 

 Alla ricerca della sostenibilità sociale, oltre che ambientale

 Si può allora affermare che, dal punto di vista ambientale, il biocarburante sia più “sostenibile” e meno dannoso dei combustibili fossili? Sorprendentemente il dibattito è aperto e molto acceso e la questione è lontana dall’essere risolta. Perché in un bilancio ideale di pro e contro entrano di prepotenza l’economia globale, la crisi alimentare, i Paesi in via di sviluppo, la disponibilità di acqua, la desertificazione, la crisi energetica e via dicendo. Quindi i biocarburanti sono una delusione? No,  hanno indicato una strada: a partire dalle biomasse vegetali è possibile ottenere carburante di qualità. Anche se in quantità obbligatoriamente controllate e contenute. Il punto è ottenere biocarburanti sostenibili anche dal punto di vista sociale oltre che ambientale. 

 Il bioetanolo è etanolo prodotto dalla fermentazione di prodotti agricoli ricchi di zucchero, quali i cereali. Utilizzato come componente per benzine; riduce le emissioni di CO2, SO2, di idrocarburi e particolato. Zone come Nordamerica, Brasile e Scandinavia furono i primi a utilizzarlo normalmente alla pompa. Anzi, l’amministrazione americana arrivò praticamente a imporlo. Nel primo decennio del secolo trovò i suoi spazi anche in Europa, noto come E85, per motori con tecnologia Flex. 

Tuttavia gran parte dei Paesi europei si sono trovati in ritardo nell’offrire una vera rete di rifornimento. La tecnologia era arrivata prima della funzionalità. Rispetto alla benzina verde a 87 ottani, l’E85 oscilla tra 100-105 rendendolo un combustibile high-performance. I motori producono fino al 5% di potenza in più quando funzionano con E85 o benzine speciali hp. 

 Il biodiesel è un combustibile ottenuto da olio vegetale (colza, girasole o altri) e ha una viscosità simile a quella del gasolio per autotrazione. Usato come additivo può migliorare il potere lubrificante, e per biodiesel puro un motore deve avere molti accorgimenti tecnici compatibili. Il biodiesel ha un numero di cetano superiore al gasolio, pertanto la resa negli iniettori è favorita, a vantaggio anche delle prestazioni. Riduce di circa la metà le emissioni di ossido di carbonio (CO) e circa il 78% di anidride carbonica, produce meno zolfo, e le polveri sottili vengono tagliate fino al 65%. Alcune tecnologie usano un additivo contenuto in un serbatoio separato che nei gas di scarico pretrattati libera ammoniaca (NH3), necessaria per la riduzione chimica degli ossidi di azoto.  

 Idrogeno – Azzardo a una sfida quasi possibile

 La direzione verso l’idrogeno si divide. Liquido come carburante per motori tipo i ciclo Otto, o mediante impiego delle fuel cell

L’uso dell’idrogeno liquido pone il grosso problema del trasporto del carburante. Per avere un’autonomia decorosa occorre infatti portare l’idrogeno allo stato liquido, cioè “congelato” a 253 gradi sotto zero. Operazione che richiede un grosso dispendio energetico e pone incognite sul piano della sicurezza. 

Le fuel cell sono in sostanza batterie chimiche capaci di produrre corrente elettrica combinando l’idrogeno con l’ossigeno dell’aria, per il motore elettrico. A venire emesso è solo vapore acqueo.  

La soluzione sarebbe produrre l’idrogeno direttamente a bordo, ma per farlo, oggi si parte (e si torna a monte) da un combustibile fossile, il metano o il metanolo. Con vantaggio alcuno in costi, e relativo in termini di CO2 nell’atmosfera. 

Di fatto, questa strada idrogeno dal metanolo, è ben visto per la possibilità di non alterare troppo violentemente gli equilibri economici (e i relativi profitti) fra industria automotive e fornitori di carburante. 

Gli sforzi puntano comunque a trovare il modo di produrre idrogeno a costi convenienti utilizzando fonti energetiche naturali (energia solare, eolica o idroelettrica). 

Certo, qualcuno penserà: “ma l’idrogeno non è contenuto nell’acqua?”. Certo. Nella molecola dell’acqua (H2O) i due atomi di idrogeno sono saldamente legati all’ossigeno. Per l’utilizzo occorre scindere detto legame, cosa che può essere fatta per elettrolisi. Una reazione che però richiede grandi quantità di energia, più di quanta se ne ricaverebbe dal risultato ottenuto. 

  Mobilità Elettrica: come un diktat globale

 Dopo che le compagnie petrolifere vennero accusate di aver acquistato i brevetti di batterie innovative sfruttando la “patent protection” per frenarne l’utilizzo, finalmente tanti studi riuscirono a concretizzarsi. Ma intorno all’inizio del nuovo secolo è stato perso molto tempo. 

In effetti non c’era neppure, ancora, la convinzione necessaria. Se Toyota partì in anticipo rispetto ad altri, era anche perché le vendite andavano male, e serviva una nuova strada, un esempio.   

Di fatto per i motori elettrici si è sempre combattuto con la capacità di garantire percorrenze adeguate. Già al cliente è chiesto un cambio radicale nel concetto di veicolo, auto o moto che sia. Offrire tranquillizzanti possibilità di percorrenza, ancora meglio se paragonabili a un veicolo con alimentazione “tradizionale”. 

Con le batterie agli ioni di Litio è avvenuto il vero salto di qualità. I costruttori, la new economy ma anche la politica, si sono scatenati. L’accelerazione del concetto di mobilità elettrica è stato impressionante, specie negli ultimi anni. Ormai è un diktat, industriale e di comunicazione globale. Ovunque, in ogni contesto, i veicoli elettrici sono insinuati nelle menti. Sono dappertutto. E stiamo diventando tutti matti !

Un brand come Tesla, da Paolo Alto messo insieme da un gruppo di investitori facoltosi, in una manciata di anni è diventato un leader. Pazzesco. Altro che start-up. 

Non mettiamoci anche qui a raccontare le differenze tecniche tra i sistemi. Certo è che la variante con funzione Plug-in (con presa di ricarica) ha le preferenze. Se i costi di prodotto sono un po’ già elevati, i rifornimenti convengono. C’è il vantaggio di poter ricaricare anche da casa (box), e tra i palazzotti vedremo dei garage iper affollati perché offrono anche punti di ricarica, oltre all’ospitalità. Tipo bed-and-breakfast motoristici. 

L’informazione, l’offerta di auto e moto elettrificate, le tendenze sociali e le promozioni stanno intanto allagando il mercato e le menti, come uno tsunami teleguidato. Le amministrazioni locali appoggiano fortemente, le politiche dei Paesi industrializzati pure.  

Se già sono in costante aumento i clienti già convinti al passaggio elettrico, la vera impennata si avrà quando le stazioni di ricarica riempiranno anche le autostrade. In questo senso c’è ancora un forte ritardo. Ma la via è tracciata, e non si può più tornare indietro. 

Che tanta iperattività e convinzione comporti la soluzione salva Pianeta, è una speranza. Come sempre.    

MotorAge.it – Fabrizio Romano  

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