Dakar 2018: ci vuole un fisico da Leone
Non sono mancati i fuochi d’artificio alla 40esima edizione della Dakar. Un’evento importante quello del rally più famoso al mondo, che ha incoronato Carlos Sainz su Peugeot 3008DKR Maxi tra le auto e Matthias Walkner sulla KTM Red Bull nelle moto. – Gallery –
Quattordici giorni e quasi 9.000 Km, da Lima a Cordoba, dal Perù, via Bolivia, fino in Argentina. 8.793 Km percorsi nel deserto e su tracciati montuosi ad alto rischio di incidenti. In un crescendo continuo di difficoltà perché, come sempre, infatti, gli organizzatori della Dakar non si sono voluti far mancare niente. Tanto più che quest’anno il Rally Raid spegneva 40 candeline raggiungendo un compleanno importante.
Trecentotrentasette veicoli al via, 43 quelli arrivati a destinazione, guidati da amatori e professionisti, accomunati da un solo obiettivo: arrivare al traguardo. Non un’impresa semplice, considerate anche l’altitudine e le condizioni atmosferiche spesso proibitive. Che hanno colto impreparati anche assi del calibro di Sebastien Loeb, tanto per citarne uno. Il nove volte campione iridato ha dovuto gettare la spugna durante la quinta tappa, tra San Juan de Marcona e Arequipa, in Perù, per l’infortunio occorso al suo navigatore Daniel Elena, con lui a bordo della Peugeot 3008DKR.
Ma chi ce l’ha fatta può senz’altro considerarlo un motivo d’orgoglio personale, a prescindere dal piazzamento finale. E raccontare ai propri familiari una bella storia fatta di sacrificio, brivido e adrenalina. Ingredienti che rendono la Dakar un evento speciale ed emozionante. Talvolta al centro delle polemiche, visto anche l’alto tasso di mortalità che negli anni ha riguardato piloti e spettatori. Ma diciamo la verità: non esiste il rally senza la Dakar.
El Matador Sainz ragiunge un altro Olimpo.
Tra le auto, la palma di vincitore è andata a Carlos Sainz, una leggenda del rally. Quasi come se gli “dei” della Dakar avessero scelto di eleggere il loro figliol prodigo in quella che era un’edizione particolarmente attesa.
Lo spagnolo del team Peugeot Total ha bissato il successo del 2010 diventando anche, a 55 anni e 284 giorni, il vincitore più anziano della corsa rallystica nella categoria auto.
“Penso di aver meritato la vittoria” – ha commentato Sainz – “Per me è stato un rally durissimo. E’ probabilmente la Dakar più difficile che abbia mai disputato. Gli organizzatori hanno preparato davvero un percorso complicato”.
Un successo senz’altro sofferto per il due volte campione del mondo che ha chiuso in 49h 16’18’’, davanti alle Toyota Gazoo Racing guidate dal forte ed esperto qatariota Nasser Al-Attiyah, distante 43’40”, e dal sudafricano Giniel de Villiers che ha chiuso a oltre un’ora e un quarto di distacco.
Tris Peugeot in sequenza.
Ai piedi del podio Stéphane Peterhansel, compagno di team di Sainz, che non è riuscito nell’impresa di ottenere la sua quattordicesima vittoria nella Dakar, competizione in cui si era imposto con Peugeot nelle ultime due edizioni. Una Peugeot che si conferma dunque la scuderia migliore, come dimostrano i tre successi consecutivi raccolti nel raid (due da Peterhansel e uno ora da Sainz).
Un legame forte quello della casa del Leone con il Rally Raid d’eccellenza. Anche risalendo a quando la Dakar, finiva sul Lago Rosa, e veramente a Dakar. Quando c’era un certo Ari Vatanen a saltare da un sedile Peugeot a un’altro Citroen.
Fine di un’epoca, o forse no.
Peugeot potrebbe però salutare i suoi due attuali califfi. Entrambi, a caldo, hanno confermato l’intenzione di prendersi un periodo di pausa lasciando in dubbio la loro partecipazione alla prossima Dakar. Parole forse dettate dal momento, dopo aver accumulato tanto stress e prosciugato energie fisiche e nervose. Non ci stupiremmo di rivederli in pista nel 2019.
È sempre difficile resistere al richiamo della competizione dei sogni, anche a un’età non più tanto giovane.
Delusioni nobili? Dipende da come la si voglia vedere. Al quinto posto si trova la prima dello squadrone MINI, la X-Raid di Przygonski / Colsoul, e bisogna arrivare al 13° per trovare la seconda. Certo, sono arrivate quattro auto in fondo alla gara. Ma forse, anche se gli obiettivi proclamati eran più alti, sapevano che le potenzialità di sviluppo del veicolo non concedevano molto di più.
Walkner su due ruote.
Nessuna sorpresa invece nella categoria moto. Dove ha vinto il team KTM, dominatore incontrastato da 17 anni. Sorprende semmai il pilota vincitore, il 31enne austriaco Matthias Walkner, che si aggiudica la sua prima Dakar con 16’’ di vantaggio sull’argentino Kevin Benavides della Honda. Chiude il podio l’australiano Toby Price, terzo a 23”01 dalla vetta.
Dunque, Walkner ce l’ha fatta a coronare il suo sogno, dopo il secondo posto del 2017. Più che giustificata la felicità per aver terminato davanti a tutti una corsa estenuante: su 139 piloti alla partenza, ne sono arrivati 85. “È stato veramente incredibile – ha dichiarato il pilota austriaco – non avrei mai pensato di poter vincere. L’obiettivo era arrivare sul podio ma quest’anno la sfida era così ravvicinata. C’erano almeno cinque piloti che potevano vincere ma il fortunato sono stato io. Nella Dakar serve sempre un po’ di fortuna, a volte ce l’hai, a volte no. E questa volta è stata dalla mia parte”.
Dakariani d’Italia.
C’era anche un po’ di Belpaese alla Dakar. Nella categoria moto, il migliore è stato senza dubbio il 28enne Jacopo Cerutti, alla sua terza partecipazione, che ha terminato 20° con la sua Husqvarna schierata da Moto Racing Group. Due posizioni più indietro troviamo l’esordiente Maurizio Gerini del Solarys Racing Team che si è tolto la soddisfazione di chiudere al primo posto della classe Marathon, dedicata alle moto di serie. Non male per rompere il ghiaccio.
Poca gloria invece tra le auto. Gli unici nostri connazionale a tagliare il traguardo di Cordoba sono stati Marco Piana e il navigatore David Giovannetti, giunti 36° al termine di una corsa pazza e imprevedibile. Per tutti, mai come in questo caso, vale però la massima di decoubertiana, secondo cui “l’importante non è vincere ma partecipare”. Ma alla Dakar arrivare al traguardo è già una vittoria.
Redazione MotorAge.it – Andrea Sicuro