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Trump, i big dell’auto e le loro mosse

Tutti insieme alla corte di Donald Trump

La bella e grintosa Mary Barra (come si legge in seguito, ormai dentro i poteri del nuovo Comitato Economico, Wikileaks aveva visto lungo), con Mark Fields e Sergio Marchionne a rappresentare General Motors, Ford e FCA Fiat-Chrysler, si sono ritrovati a condividere con il 45° Presidente USA le strade da intraprendere per “il bene del Paese”. Ovvero le nuove strategie di mercato.

 Il settore dell’auto, ormai si sa, sta molto a cuore a Donald Trump. Anzi, lo considera di primaria importanza per la forte crescita economica degli Stati Uniti d’America. Industria in casa e lavoro in casa le leggi basilari: “Voglio nuovi impianti da espandere qui per auto vendute qui”. E nel mondo.

“Compra americano, vendi americano”

Così, l’incontro con i big della mobilità americana è diventato per Trump un importante testimonial per ribadire i suoi slogan, esaltati prima e durante la cerimonia di insediamento. “Compra americano, vendi americano”: l’America prima di tutto. E se occorre mandare all’aria le precedenti mosse di Obama poco importa, anzi, per Trump è anche motivo di orgoglio.

Del resto mai si era visto un presidente che twittava per richiamare all’ordine le singole società. Il riferimento è alla “bacchettata” ai piani di delocalizzazione di GM e Ford in Messico. Investimenti rigirati in USA per evitare il rischio di pagare “pesanti dazi” (un tremendo 35% sui veicoli costruiti oltre confine).

– Un protezionismo solidale che in questo momento piace a molti. Per esempio, Marine Le Pen ha detto: “Se vincessi, in Francia adotterei la stessa politica di Trump negli USA”. Salvini, sicuro, si accoda.

– Ma sul tavolo c’è pure un’altra questione scottante. Donald Trump ritiene che l’ondata ambientalista sia andata fuori controllo. Esagerata insomma, e limitativa. All’industria ha promesso una taglio alle tasse, riduzione delle burocrazie e maggiore velocità nel sapere se si ottengono o meno i permessi.

Per dare dei segnali, Trump non solo ha firmato l’uscita dal Tpp (Trans-Pacific Partnership), il trattato per la liberalizzazione dei mercati del Pacifico voluto da Obama, ma ha anche dato il via libera alla costruzione di due polemizzati oleodotti, il Keystone XL e il Dakota Access Pipeline, bocciati da Obama e dalle proteste dei nativi americani Sioux. Se gli ambientalisti reclamano, c’è invece chi esalta i posti di lavoro e il contenimento dei costi energetici.

I Personaggi

Tra tanta gente importante elegantemente vestita dei propri abiti manageriali, il Ceo di Fiat Chrysler non ha rinunciato al suo proverbiale maglioncino. La confidenza non c’entra, anche se Sergio Marchionne e il suo fiuto hanno stretto presto amicizia con Donald Trump, fin dai tempi pre elettorali. L’amico Obama non se ne voglia, ma al business non si comanda. E FCA, invece degli attacchi, ricevette ringraziamenti tweettati per l’investimento da un miliardo di dollari annunciato durante il Salone di Detroit.

All’incontro col tycoon alla Casa Bianca, FCA si portava dietro le accuse di violazione sui controlli delle emissioni Diesel da parte dell’EPA, targata ancora Barack Obama, ma ora il tutto finisce nelle mani della nuova amministrazione, e il nuovo Dieselgate sembra preoccupare meno vista l’aria che tira.

Elon Musk e la Gigafactory

Quanto a Ford, sappiamo bene che ha deciso di appoggiare le strategie “Made in USA”, rinunciano all’impianto messicano a favore di quello di Flat Rock, in Michigan. Comunque, prima dello storico raduno, il neo presidente si era già confrontato con Mark Fields, insieme a Elon Musk. Il visionario boss di Tesla, sul tavolo ha messo tutta la forza della Gigafactory impianto costruito nel deserto del Nevada (Stato dove le cose si fanno già più velocemente) dedicato al mondo della mobilità elettrificata, e ovviamente i vantaggi tecnologici per la guida autopilotata. Innovazione e lavoro insomma. Per Tesla la possibilità di vedere facilitata la commercializzazione in quegli Stati dalle burocrazie un po’ aspre (tipo Michigan e New Jersey).

Saremmo comunque curiosi di ascoltare le opinioni di un esperto circa le postazioni decise per i CEO al tavolo con Trump.

Quanto a GM, pace è fatta. Nel piano di investimenti, prima si guarda in casa. Del resto Mary Barra presidente e ceo di General Motors, si è già messa in gioco in prima persona; è entrata nello “Strategic and Policy Forum”, il comitato di esperti chiamati a consigliare Donald Trump. Era nella lista divulgata da Wikileaks, a ottobre, nella rosa dei candidati alla vicepresidenza di Hillary Clinton; ora il neopresidente degli Stati Uniti l’ha scelta nella commissione che si occuperà di strategia economica, insieme ad altri quindici manager di grandi società, come Boeing, JPMorgan, Wal-Mart e Disney.

Fabrizio Romano

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