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Africa: l’altra faccia dei biocarburanti

 Mentre nel mondo la popolazione aumenta (siamo 7 miliardi) non sembra avvenire una pari crescita culturale. E’ pur vero che la vita media degli esseri umani è in costante miglioramento ma, parallelamente, aumentano fame, carestie, guerre. E inquinamento. Nel campo automobilistico aumentano le vetture ibride (con alimentazione elettrica) nonché la diffusione dei carburanti alternativi al petrolio, studiati per limitare la dipendenza del pianeta dall’oro nero in vista di un possibile (quantunque imprevedibile) esaurimento delle scorte.

 Quello che però non si considera è l’impatto sulle popolazioni della produzione di biocarburanti. Al punto che l’aumento dei prezzi delle materie prime alimentari degli ultimi anni, delle emergenze alimentari nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo e delle emissioni di anidride carbonica, vengono collegate proprio alla produzione di carburanti alternativi.

 Studi indipendenti indicano come nel territorio africano milioni di ettari di terreno coltivato siano riconducibili a poco più di una decina di imprese petrolifere inglesi. In queste enormi piantagioni si coltivano prodotti che poi saranno convertiti in biocarburante. Ne fanno le spese la popolazione (perché le coltivazioni non hanno scopo alimentare) e i terreni (che, per produrre in modo intensivo fanno largo uso di acqua, fertilizzanti e pesticidi).

 Manca, del resto, qualsiasi protocollo, ratificato a livello planetario, che stabilisca standard ambientali nella produzione. Lo scenario è da medioevo: pochi soggetti, estremamente potenti e non indirizzati da alcun principio etico, sono implicati in una famelica acquisizione di territorio (pagato a cifre ridicole o ricorrendo all’esproprio) per aumentare la quantità delle coltivazioni creando deforestazione.

 La Crest Global Green Energy, ad esempio, possiede 900.000 ettari in Mali, Guinea e Senegal. La Sun Biofuels, invece, possiede 8.000 ettari di terreno coltivati a Jatropha curcas, una pianta non commestibile i cui semi, ricchi di olio, servono nella produzione di biodiesel.

 L’espansione dell’industria dei biocarburanti ha avuto unimpennata negli ultimi anni con l’aumento dei capitali investiti nell’”Alternative Investment Market” della Borsa di Londra. L’Italia gioca un ruolo di primo piano in questa “corsa” all’arricchimento, con sette aziende attive nel comparto (seconda solo all’Inghilterra). Seguono Germania (6), Francia (5) e Stati Uniti (4).

Alvise Seno
02/01/2012 – 18:36

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